Battere marzo “batter o ciamar marso” è il capodanno Veneto
Postato da: Utente Registrato il 26-02-2009. Visto 20040 volte.
Tradizione
“Ciamar Marso”, diffuso in tutto l’Altopiano d’Asiago, ma anche nel Padovano e nel Trevigiano, segna il passaggio
dall’inverno alla primavera, dal freddo al caldo, dalla segregazione invernale alla vita comunitaria che i primi caldi facilitano.
Segna, con una sola parola, il cambiamento.
Adulti e bambini, uomini e donne battono, battono
incessantemente qualsiasi supporto faccia rumore, per svegliare la natura e la voglia di tornare a vivere dopo il letargo invernale. Al contempo si accendono i fuochi, simbolo di coraggio, di forza.
Storia
Fino al 153 a.C. i romani iniziavano l’’anno nuovo il primo di marzo, da questa data in poi adottarono invece il primo di gennaio.
Con il crollo dell’Impero, i diversi regimi che seguirono adottarono calendari diversi, mentre i cristiani mantennero la fedeltà al Calendario Giuliano, pur
adottando date di inizio anno differenti.
Nella millenaria Serenissima Repubblica l’anno cominciava il 1 Marzo. Infatti ancora oggi il calendario risente di questa data per cui a partire da Marzo, il mese della rinascita, si contano i dieci mesi, per cui il settimo è settembre, l’ottavo è ottobre, il nono è novembre e il decimo è dicembre.
Il capodanno veneto è festeggiato dagli ultimi tre giorni di febbraio, cioè gli ultimi giorni dell’anno, e si va avanti fino al nono giorno di Marzo. Batter Marzo, o brusar Marzo, o ciamar Marzo significa risvegliare l’anno nuovo, la vita addormentata, la terra addormentata dal gelo dell’incerno perchè si ridesti e si risvegli e si prepari per la nuova semina.
Ad esempio
dal 28 febbraio e il 1 marzo 2009, a Selva di Progno (VR) - frazione San Bortolo si svolge il tradizionale appuntamento Osar marzo. Filastrocca antica per chiamare la primavera, cantata dalla gente del luogo che per l’occasione indossa i tipici costumi cimbri. Un tempo, gli abitanti della Lessinia, generalmente nelle sere di fine febbraio, stanchi del lungo e rigido inverno e desiderosi di ritornare al lavoro nei pascoli, si recavano sulle alture, muniti di campanacci e “racole” (strumenti di legno che agitati producevano un forte rumore). Qui tutti insieme li scuotevano festosamente per invitare la bella stagione ad affrettarsi. In quest’occasione venivano recitate delle filastrocche scherzose che avevano come protagonisti i giovani che quell’anno si sarebbero sposati e dato vita ad una nuova famiglia. In quelle sere i colli di molti centri della Lessinia prendevano vita e risuonavano a festa. Questa tradizione, ancor oggi, viene fatta rivivere da alcune comunità dell’altopiano della Lessinia, come quella della frazione di San Bartolomeo.
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